Post by calvero on Jul 9, 2020 20:32:52 GMT 1
Da casa mi dirigo a piedi - zainetto in spalla - verso la strada che può condurmi sia al paesello, sia a un percorso che, dolcemente e pur repentino, s'inoltra nella natura dei boschi montani che mi circondano. Non solo i boschi ma anche la luce di un'estate limpida, sovrasta vividamente ogni sfumatura che in un pomeriggio di Luglio si fa netta, tagliente. Come intrufolandomi sotto e di lato a una passerella che soltanto a piedi e in bicicletta si può attraversare, acuisco i sensi verso il torrente che lì sotto scorre e mi richiama dai gorgoglii alle idee rigeneranti. Un'acqua gelida che a chiunque si affacci, così ti dice: «Sono cristallina e limpida al punto che potresti bermi, sono gelida e gelida rimango, se vuoi il tepore dell'acqua di mare, cento chilometri più in là». Con un inchino mi scuso "Che carattere torrentizio!" penso «Non volevo offendervi» rispondo. Il torrente ampio e frastagliato, fa spallucce e continua la sua corsa. In questi punti in cui ora mi trovo, più di un metro di profondità non trovi, quindi non potrebbe annegarmi se si arrabbia ancora. Ricco di mini cascatelle che litigano tra loro a chi fa prima a incontrarsi nel Tagliamento, a trecento metri lontano, il tutto si riappacifica nei riflessi che sbrilluccicano tra pietre così bianche da apparirmi farina. Tenui gorgheggi color limone e chiarissimi, via via più verdi, scivolano di sotto da ghiaia e sassi, traslucidi a seconda, acquosi insieme, e insieme impertinenti, vanno intrufolandosi negli anfratti terreni insieme a foglie e cortecce antiche. M'inoltro ancora per i sentieri di vegetazione or carica e fitta che si abbarbica e diverte a seguir se stessa. Rivoli e ruscelli scappano di qua e di là, e giù il piede e dura la caviglia a non scivolare, risalgo saltellando verso il bosco. Poi un sentiero più alto, come un tunnel dell'amore, di verde fogliame ripiegato a galleria, per giungere alla radura. Finalmente tra grandi pietre che possono accogliere più persone sdraiate su di esse, e ancora lastre di roccia compresse da forze preistoriche, ecco mi ospita l'oasi in un refrigerio portato dall'acqua e dalle voci divertite, tuffi e bombe e panciate, in festa e sollazzo, ragazzi e ragazze a diporto in una gola protetta da altissime rocce, a picco grigie e lucenti. L'autenticità della brezza riverbera da sé e, con lei a indirizzarmi, rimiro infondo. Saltando s'una pietra, mano alla fronte, dalla valle cui sono giunto, si apre uno spicchio di cielo sopra il paesello laggiù, ora lontano in bianchi arancioni vibranti, il vibrare di mura al campanile che svetta, mille sprizzanti le gocce, come vapore di ghiaccio, ora nel vento, un tuffo al mio fianco.
Lascio cadere lo zaino di grigio perlato il tessuto, sfilo Dostoevskij e una bottiglietta d'acqua che nell'acqua del torrente incastro, tra sassi a non farla rapire; cuscino in jeans sulla roccia mi appoggio, apro al libro il suo segno, e da lì inizio lettura. Ma ecco il tonfo inghiotte nell'acqua una giovane mora e un'altra ancora, perizoma e cosce d'avorio dorate. Che culi! Ma Rodja è al suo delitto tra le pagine di Pietroburgo, ed ecco giunge l'odore dalla roccia lassù, rullata a tabacco l'odor pungente ti coglie. All'inebriar di spinello, l'accetta cade e uccide vecchietta, per pochi e punti denari, orecchini d'oro magari, a Pietroburgo scorre sangue, sulle Alpi, libertà.
Ancora pagine e tuffi, tuffi e dispetti nell'acqua che accoglie. Ma un fruscio chiama attenzione. Dal sentiero, proprio da dove io son venuto, una faccia a me nota, ma non nota ai ragazzi, lì gaudenti tra le rocce e il torrente, non sanno. Costui, s'avvicina e saluta. Contraccambio. Di poco s'allontana. Approfitto. Salto sulla grande roccia dove al Sole se ne stanno. Mi avvicino a uno di loro, mi chino e bisbiglio «Ragazzi, non fate cazzate adesso» dico loro. Capiscono il sotteso anche se non bene lo intendono. Allora con un cenno di sopracciglio punto al nuovo giunto a pochi metri più in là e più sotto. «Sbirro in borghese?» sgrana gli occhi e sottovoce cerca conferma. Annuisco «Occhio» gli dico, quindi prendo e salto giù dalla roccia ... a Pietroburgo ritorno.
Delitto senza castigo.
Lascio cadere lo zaino di grigio perlato il tessuto, sfilo Dostoevskij e una bottiglietta d'acqua che nell'acqua del torrente incastro, tra sassi a non farla rapire; cuscino in jeans sulla roccia mi appoggio, apro al libro il suo segno, e da lì inizio lettura. Ma ecco il tonfo inghiotte nell'acqua una giovane mora e un'altra ancora, perizoma e cosce d'avorio dorate. Che culi! Ma Rodja è al suo delitto tra le pagine di Pietroburgo, ed ecco giunge l'odore dalla roccia lassù, rullata a tabacco l'odor pungente ti coglie. All'inebriar di spinello, l'accetta cade e uccide vecchietta, per pochi e punti denari, orecchini d'oro magari, a Pietroburgo scorre sangue, sulle Alpi, libertà.
Ancora pagine e tuffi, tuffi e dispetti nell'acqua che accoglie. Ma un fruscio chiama attenzione. Dal sentiero, proprio da dove io son venuto, una faccia a me nota, ma non nota ai ragazzi, lì gaudenti tra le rocce e il torrente, non sanno. Costui, s'avvicina e saluta. Contraccambio. Di poco s'allontana. Approfitto. Salto sulla grande roccia dove al Sole se ne stanno. Mi avvicino a uno di loro, mi chino e bisbiglio «Ragazzi, non fate cazzate adesso» dico loro. Capiscono il sotteso anche se non bene lo intendono. Allora con un cenno di sopracciglio punto al nuovo giunto a pochi metri più in là e più sotto. «Sbirro in borghese?» sgrana gli occhi e sottovoce cerca conferma. Annuisco «Occhio» gli dico, quindi prendo e salto giù dalla roccia ... a Pietroburgo ritorno.
Delitto senza castigo.